La prima domenica di Quaresima è stata sicuramente caratterizzata dalle immagini del tragico naufragio di Cutro, con i numeri di un dramma che coinvolge le vittime, i migranti sopravvissuti e l’intera coscienza pubblica.
Già vedevamo la costa, quando ho sentito un forte urto sul fondo dell’imbarcazione. In un attimo, la barca si è spaccata e siamo finiti tutti in acqua...
È il racconto di chi, a 150 metri dalla battigia, ha visto la morte in faccia, l’ha vista nelle urla trasformate poi nel silenzio di chi accanto a lui aveva condiviso la pura di quella traversata: la traversata della speranza.
Fatichiamo anche solo ad immaginare quegli attimi di terrore collettivo, quando - domenica all’alba - il vecchio barcone proveniente da Smirne con 180 migranti a bordo ha sfiorato gli scogli con la chiglia e si è disintegrato in mille pezzi. «Nel caos non ho capito più cosa stesse accadendo. Io e mio cugino eravamo aggrappati a un pezzo di legno, ma lui ha perduto la presa ed è finito in mare. L’ho perso così...». questo uno dei tanti racconti. Questa ennesima tragedia, nella sua drammaticità, ricorda che la questione dei migranti e dei rifugiati va affrontata con responsabilità e umanità. Il Covid per circa due anni ha catalizzato la nostra attenzione: eppure gli sbarchi sono continuati. Abbiamo ripreso la normalità della vita: anche la fuga da guerra, fame, mancanza di prospettive hanno ripreso a riempire i barconi di migranti. Siamo nel guado di una guerra che, in Ucraina, ci sta coinvolgendo totalmente sia in senso emotivo che partecipativo e nel contempo siamo travolti da immagini come quelle degli sbarchi quotidiani e di naufragi simili.
Non possiamo ripetere parole che abbiamo sprecato in eventi tragici simili a questo, che hanno reso il Mediterraneo in venti anni un grande cimitero. Poi si tratta di sbrogliare, un filo alla volta, l’intricata matassa di eventuali sottovalutazioni, rimpalli burocratici o eventuali responsabilità che non ha determinato l’uscita in mare di mezzi navali adeguati fra sabato sera e domenica mattina, quando ancora era possibile un soccorso al barcone poi naufragato a Steccato di Cutro: 67 vittime e 81 superstiti finora accertati, oltre a un numero imprecisato di dispersi.
Ho perso mia zia e tre cuginetti, di 12, 8 e 5 anni. I loro volti ho faticato a riconoscerli. Il più piccolo è disperso. Sono rimasti vivi solo un cugino di 14 anni e zio Wahid. Una famiglia distrutta. Non si può morire così, solo per aver cercato un’esistenza migliore
Per ricordarci un po' tutti: "Nessuno mette i figli su una barca a meno che l’acqua non sia più sicura della terra ".
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