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DOVE TUTTO È INIZIATO

Tappa obbligata per un Natale che sia tale: volgere lo sguardo a Betlemme. Quella di duemila e passa anni fa, con il censimento che nella città di Davide aveva raccolto tra le migliaia di persone anche un giovane sposo con la sua sposa, Piena di Grazia e custode della senza tempo Promessa di Dio, in groppa ad un asinello. Precisamente 2024 anni fa: perché da quella notte, dalla nascita del Bambino, Figlio di Dio tra noi, il tempo può essere contato solo così. Non più nella sua spirale che divora tutto e tutti ma abitato ancor più profondamente dalla presenza di Dio-con-noi. L’Eterno che si fa tempo e che rende ogni istante tempo di salvezza! Lo sguardo va anche alla Betlemme di oggi. A Betlemme, dicono i Frati della Custodia di Terra Santa, la guerra sembra lontana, ma è solo un’illusione ottica. Il conflitto ha colpito la città in maniera devastante, soprattutto per il totale blocco dell’industria del turismo, da cui dipende l’economia della città. Quindi c’è stata l’interruzione del rilascio dei permessi di lavoro in Israele, che impedisce ai lavoratori di recarsi fuori dai Territori. Moltissimi cercano di scappare, di migrare con i loro figli, alla ricerca di un futuro. E i cristiani? La comunità stretta attorno alla parrocchia cattolica di rito latino di Santa Caterina soffre, come pure il resto della città. La gente non sa cosa aspettarsi, dopo 15 mesi di guerra. Molte famiglie emigrano. Moltissimi sono indebitati e non hanno soldi per fare la spesa e mandare a scuola i figli. Intanto, in questo clima di confusione, cresce la pressione dei coloni israeliani, che cercano di prendere possesso illegalmente della terra.


Non siete soli. Nonostante i tempi duri, la disperazione non è una opzione.

Questo l’incoraggiamento per chi si trova a quotidiano contatto con la guerra ed il terrore che essa produce. La culla di Betlemme è pronta anche quest’anno ad accogliere Gesù Bambino. Accogliere questa vita, in quelle latitudini come nelle fatiche e nelle ferite che ciascuno di noi bene conosce, significa accettare una speranza nuova che non elimina la guerra o la tribolazione ma rende possibile un’esperienza di pace nell’anima e un modo diverso di guardare le difficoltà. Alcuni frati che vivono in una situazione molto complicata in Siria, hanno scritto che nel convento dove vivono hanno vietato tre parole: tristezza, lamento e disperazione.


Il dolore è permesso, ma va accolto, senza risentimento verso Dio o gli altri.

Andare e tornare ogni anno dove tutto è iniziato, anche attraverso il bellissimo e toccante presepe della nostra chiesa o in quello delle nostre case, ma anche con l’aiuto di film e di letture che lì ci conducono, significherà anche per noi provare ad eliminare dal vocabolario del nostro cuore tristezza, lamento e disperazione per dare spazio a quel seme di fiducia e di pace abbondantemente seminato in noi proprio dal dono e dal sacrificio del bambino di Betlemme. Prendendo tra le mani la nostra vita e davvero abbracciandola.


 





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